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Coronavirus: cosa succede se trasgredisco al decreto “Io resto a casa”?

“Tutto è concesso in guerra e in tempo di coronavirus”… no aspettate, non era proprio così il detto. Ma, cosa più importante, non è vero che dinnanzi al coronavirus è concesso tutto: nonostante lo stato di panico e la paura che può generare e quindi l’irrazionalità dei nostri comportamenti, vi sono alcune prescrizioni da dover osservare attentamente la cui violazione può comportare delle conseguenze anche piuttosto gravi.
Il Covid-19 – o comunemente coronavirus – è una malattia respiratoria causata dal virus denominato SARS-COV-2 appartenente alla famiglia dei coronavirus. È comparso per la prima volta in Cina, e precisamente nella città di Wuhan, ufficialmente nel dicembre scorso ma pare che la sua nascita sia da retrodatare di almeno due mesi. Non è ancora ben chiaro quale sia stata la sua vera origine ma l’unica certezza è che dalla Cina si sia spostato abbastanza rapidamente – anche grazie alla sua elevata capacità diffusiva – in quasi tutti i continenti e, purtroppo, tra i paesi maggiormente colpiti dal virus rientra l’Italia: migliaia sono i contagi accertati, centinaia i decessi e se non si riuscirà a contenere la diffusione dei virus nelle prossime settimane il nostro sistema sanitario rischia di collassare.
Proprio per far fronte a questa gravissima emergenza sanitaria il governo italiano ha emanato, prima, un decreto legge – Dpcm 8 marzo 2020 – denominato “Misure urgenti di contenimento del contagio” che prevede una serie di prescrizioni tra le quali l’obbligo di mantenere la distanza di sicurezza di un metro e il divieto di entrata e di uscita dalla “zona rossa” ma anche da quella “arancione” definita e delimitata proprio dal tale decreto, seppur con alcune eccezioni, e il giorno successivo, in virtù dell’aggravarsi dell’emergenza, ha emanato un secondo decreto – Dpcm 9 marzo 2020 – con il quale ha sostanzialmente esteso le prescrizioni a tutto il territorio nazionale, definendo l’Italia “zona protetta”. Di riflesso quasi tutte le Regioni hanno emanato delle ordinanze contingenti ed urgenti contenenti prescrizioni più dettagliate e lo stesso hanno fatto diversi sindaci.
Cosa rischio se violo queste prescrizioni?
Conviene fare chiarezze e procedere con ordine.

Che cosa sono le ordinanze contingenti ed urgenti?

Tutti gli ordinamenti giuridici si dotano di strumenti per far fronte a situazione di emergenza imprevedibili che possono mettere a rischio interessi fondamentali della comunità tra i quali rientrano l’incolumità pubblica e la sanità. Si tratta di atti caratterizzati in primo luogo da atipicità: le leggi attributive di questo tipo di potere si limitano ad individuare l’autorità competente ad adottarli, a descrivere in termini generali i presupposti che ne legittimano l’emanazione e a specificare il fine pubblico che devono perseguire ma lasciano indeterminato il contenuto del potere e i destinatari del provvedimento, proprio perché vengono emanati per intervenire in situazioni straordinarie e di emergenze.
L’autorità competente è dunque titolare di un’ampia discrezionalità, sia nel momento in cui valuta in concreto se la situazione di fatto giustifica l’esercizio del potere di ordinanza, sia nel momento in cui individua le specifiche misure da adottare e, proprio per questo motivo, tali atti necessitano di un’adeguata motivazione. Essi sono emanati dal Governo, il cui potere sorge nei casi di necessità e urgenza e consente l’emanazione di decreti legge ex art. 77 Cost.; dal Sindaco, dal Prefetto, dalle Regioni e dal Ministro della Salute. Un potere d’ordinanza è infine previsto anche in materia di protezione civile: in caso di calamità naturali che richiedono interventi immediati con mezzi e poteri straordinari, il Consiglio dei Ministri può dichiarare lo stato d’emergenza fissandone la durata e l’estensione territoriale.
Nonostante il presupposto alquanto indeterminato e il contenuto sostanzialmente discrezionale, l’esercizio di tale potere deve rispettare alcuni limiti: non possono essere emanate in contrasto con i principi generali dell’ordinamento giuridico e con i principi fondamentali della Costituzione, devono avere un’efficacia limitata nel tempo e devono essere adeguatamente motivate e pubblicizzate. Inoltre il loro contenuto deve essere adeguato e quindi proporzionato alla specifica emergenza che deve in concreto fronteggiare: da qui il carattere tendenzialmente temporaneo e provvisorio delle misure adottare.

Caso specifico: Dpcm 8 marzo 2020, Misure urgenti di contenimento del contagio” e Dpcm 9 marzo 2020

“Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19  le misure di cui all’art. 1 del decreto 8 marzo 2020 sono estese all’intero territorio nazionale”: si apre così il decreto emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri lunedì sera. Non vi è più una differenziazione tra zone rosse, arancioni e zone “franche”, ora tutto il territorio nazionale è “zona protetta”.

I due decreti prevedono, riassumendo, le seguenti misure:

a) gli spostamenti sul territorio nazionale sono consentiti solo se motivati da comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, per motivi di salute o per rientrare nel proprio domicilio\abitazione\residenza;

b) ai soggetti sintomatici è fortemente raccomandato di rimanere presso il proprio domicilio contattando il proprio medico curante; sui soggetti sottoposti alla misura della quarantena o risultati postivi al virus incombe invece un divieto assoluto di mobilità dalla propria abitazione;

c) divieto di ogni forma di assembramento in luoghi pubblici o aperti al pubblico;

d) sono sospesi: tutti gli eventi e le competizioni sportive; tutte le manifestazioni, eventi e spettacoli di qualsiasi natura; i servizi educativi e le attività didattiche di ogni ordine e grado; le procedure concorsuali;

e) le attività di ristorazione e bar sono consentite solo dalle ore 6:00 alle ore 18:00, con obbligo, a carico del gestore, di far rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, con sanzione della sospensione dell’attività in caso di violazione.
L’art. 5 del decreto 8 marzo 2020 prevede espressamente l’applicabilità dell’art. 650 del codice penale e dei reati più gravi in caso di violazione delle misure previste.

L’efficacia temporale delle prescrizioni, alla luce delle modifiche operate dal decreto del 9 marzo, è estesa fino al 3 aprile 2020.

Conseguenze della violazione: art. 650 c.p. e non solo

La norma di riferimento è, come abbiamo già visto, l’art. 650 del codice penale, ai sensi del quale “Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con l’arresto fino a 3 mesi o con l’ammenda fino a 206 euro”.
Nel momento in cui si violano le prescrizioni contenute nei due decreti sopra citati, quindi, si commette un reato vero e proprio. Se la pena relativamente limitata prevista dalla norma non ha una vera e propria efficacia deterrente, perché magari il desiderio di spostarci sul territorio nazionale al di fuori dei limiti consentiti per raggiungere i nostri cari che vivono lontano è più forte della paura di rischiare una pena così esigua, bisogna tenere presente l’inciso “se il fatto non costituisce più grave reato”.
Il più grave reato configurabile in questo specifico caso è quello previsto dall’art. 452, rubricato “delitti colposi contro la salute pubblica”, il quale, nell’ipotesi più grave, prevede la reclusione fino a 5 anni.

Per questo motivo invito tutti a comportarci responsabilmente e attenerci strettamente alle prescrizioni contenute nel decreto, sia perché attraverso la nostra condotta possiamo mettere a repentaglio la salute nostra e dei nostri cari, sia perché anche dal punto di vista giudiziario si rischia davvero grosso.