Indicatori demografici, qual è la situazione italiana?

L’Istat – Istituto Italiano di Statistica ha da poco pubblicato un’analisi degli indicatori demografici dell’anno 2019, restituendoci un quadro dei fenomeni, concernenti la popolazione italiana, veramente poco incoraggiante.
Diminuisce la popolazione, soprattutto al Sud. Più precisamente al 1 Gennaio 2020 i residente su suolo italiano ammontavano a 60 milioni e 317 mila; 116 mila individui in meno dello scorso anno.

Il tasso di fecondità totale, ovvero l’indice che ci dice quanti figli dovremmo avere per preservare la riproduzione della razza umana dovrebbe corrispondere a 2,1 figli per donna: nel nostro paese il tasso di fecondità del 2019 è stato di 1,29 figli per donna.

Sta aumentando pericolosamente il divario tra decessi e nascite: ogni 100 persone decedute, nascono solo 67 bambini. L’Istat ci dice che il ricambio naturale della popolazione appare sempre più a rischio. Nel 2019 il saldo naturale delle nascite si è attestato a -212 mila unità; 435 mila nascite contro 647 mila decessi. È il tasso più basso di ricambio naturale mai espresso dal 1918.

Il nostro atteggiamento riproduttivo di oggi, quindi, è uguale a quello dei nostri bis nonni subito dopo la prima guerra mondiale.

L’Italia è sempre più un paese per vecchi.

In questo quadro scoraggiante, un apporto positivo lo danno gli immigrati immettendo nello stanco tessuto socio-culturale italiano nuovi potenziali giovani energie.

Tito Boeri, economista ed ex presidente INPS, in una recente intervista a Piazza Pulita [il programma di Corrado Formigli in onda su La 7 il giovedì sera n.d.r.] sugli indicatori demografici Istat ha dichiarato: “Se noi abbiamo meno persone che iniziano a lavorare ed a versare i contributi non abbiamo più la base per finanziare il nostro sistema pensionistico né la spesa sanitaria, che chiaramente deve sempre aumentare in un paese che invecchia. Questo è il vero problema. Dobbiamo fare delle politiche per la genitorialità […]. Anche se gli italiani dovessero cambiare atteggiamento e da domani dovessero aumentare i loro tassi di fecondità, ci vorrebbero comunque come minimo 20 anni perché questi nuovi nati inizino a lavorare ed a versare i contributi. Nel frattempo cosa facciamo?”.

Gli immigrati sono una risorsa per la nostra nazione. Se venissero regolarizzati, come ha poi aggiunto Boeri, potrebbero iniziare a lavorare ed a pagare i contributi, aiutandoci a tenere in piedi il sistema pensionistico che, con l’aumento della speranza di vita media, diventerà più gravoso di anno in anno. Istat ci dice che l’età media degli italiani nel 2019 era di 45,7 anni e che la speranza di vita media per le donne è di 85,3 anni, mentre per gli uomini è di 81. Se teniamo in considerazione che l’età pensionabile per vecchiaia è di 66 anni e 7 mesi, realizziamo che i lavoratori presumibilmente giovani dovrebbero pagare con i propri contributi le pensioni per almeno 15 anni per ogni individuo.

Come è possibile sostenere un sistema del genere se, a giugno 2019, solo il 59% della popolazione italiana era occupata?

Istat ci dice anche che nel 2019 è stato registrato un rallentamento dei flussi migratori per il nostro paese, seppur il saldo finale sia ancora [si stima per poco n.d.r.] in positivo.

“I movimenti in ingresso sono per lo più dovuti a cittadini stranieri, 265mila, oltre 20mila in meno sull’anno precedente, ma in ogni caso preponderanti rispetto agli appena 43mila italiani che rientrano nel nostro bel paese. Sul versante dei movimenti in uscita, al contrario, la quota prevalente è da attribuire ai cittadini italiani, circa 120mila e 3mila in più sul 2018, mentre le emigrazioni di stranieri (certificate da una cancellazione anagrafica) riguardano soltanto [si fa per dire n.d.r.] 44mila individui (+4mila)” (Istat – Documento sugli indicatori demografici 2019 p.3). Per 265 mila immigrati che arrivano in Italia, 120 mila italiani decidono di andarsene in un paese straniero.

L’Italia è dunque sempre più vecchia e meno capace di attrarre e/o di trattenere nuove risorse umane.

Invertire questa tendenza però è possibile: bisogna aprire i porti, allagare i confini e consentire ai giovani provenienti da tutte le parti del mondo di portare con sé, qui da noi, energia nuova.

Bisogna garantire ai giovani un lavoro stabile che li metta in condizioni di versare i contributi e di mantenere in vita le pensioni tanto care ai governi. Da qui in poi è facile desumere che più lavoro e più lavoratori comportino un aumento del benessere e, di conseguenza, del potere di spesa.

Al lavoro è poi necessario affiancare politiche di sostegno della genitorialità non di tipo assistenzialistico come bonus ed assegni che, oltre ad essere gravosi dal punto di vista economico in un paese in deficit perenne, dati alla mano risultano anche pressoché inutili; ma politiche che favoriscano la fruizione di servizi. Per esempio si potrebbero promuovere asili nido aziendali e gratuiti; permessi retribuiti straordinari; soluzioni di lavoro flessibili per neo genitori che non prevedano una riduzione drastica dello stipendio e/o la perdita del lavoro; scuole multiculturali e multi etniche per costruire una società libera e plurale.

Pare che gli immigrati siano parte della soluzione di un bel po’ di problemi… e mo chi lo dice a quelli che predicano l’innalzamento delle barriere, l’isolamento ed i porti chiusi?

Crediti: https://www.istat.it/it/files//2020/02/indicatori-demografici-2019.pdf

Crediti: Particolare quadro di Gustav Klimt “Le tre età della donna”