Intervista a Notting Hill: la storia di Giuseppe

Passeggiando per Portobello Road, tra le strade ed i vicoli di Notting hill, mi sono sentita un po’ Julia Roberts ma senza il suo Hugh Grant. Proprio come lei mi sono resa conto, calpestando le foglie ormai secche, di quanto sia così bella la semplicità della vita. Ricorderete sicuramente il film “Nothing hill” in cui lei, attrice affermata e famosa, si innamora di un libraio ed assapora la vita vera che gli era mancata da sempre. Il famoso negozio di libri si trova al numero 142 di Portobello Road ed è in realtà un negozio di oggetti antichi, chiamato proprio “Notting Hill”. Ripercorro il film con la mente mentre il mio sguardo cade alla mia destra, in un primo momento distratto. Mi ritrovo davanti ad un negozio, “The blue door”, a guardare delle cartoline e delle calamite di Londra. Una signora chiede delle informazioni e, chi sta dietro la cassa, risponde in italiano. Ma non era un italiano nuovo alle mie orecchie. No, il signore aveva l’accento del sud. Mi avvicino anche io e lui, che da qui a poco scoprirò il suo nome, inizia a parlarmi di quanto Londra sia bella ma Napoli lo è di più. Lui è Giuseppe Figliuzzi e trentaquattro anni fa, un allora ventenne, lascia la sua terra per arrivare qui. Giuseppe ha gli occhi chiari, la barba bianca e proprio non riesce a non parlare in napoletano. Sua moglie, che lo aiuta nell’attività, anche lei del Sud, del nostro Sud, precisamente di Pedivigliano, un paesino nella provincia di Cosenza, gli dice che non deve sempre parlare in dialetto perché altrimenti le persone scappano. Però io non scappo e resto a parlare con lui, affamata come sono di domande e di storie di vita vissuta.

Sul serio se sentono il dialetto scappano?
Si, purtroppo succede anche questo. Se sentono parlare in napoletano, girano i tacchi e vanno via credendo che ciò che vendo non sia all’altezza. Ma io devo parlare in napoletano, mi manca. Non vedo perché non dovrei farlo. E poi basta con questi stereotipi, con questi luoghi comuni. Sono anni
che resto fermo a guardare queste scene già viste.

Giuseppe, mi racconti la tua storia? Come ti sei ritrovato qui a Portobello Road?
È una storia un po’ particolare. Persi mio padre quando ero poco più un ragazzino. Avevo la famiglia “sulle spalle” e allora decisi di fare questo passo. Con molta fatica. Dopo essermi congedato dal militare, partì da Milano, ma sbagliai aeroporto. Non avevo una lira in tasca e allora
chiesi all’autista il favore più grande della mia vita. Se potesse portarmi all’aeroporto di Linate perché li avrei dovuto prendere l’aereo per Londra e non avevo idea di come altro fare. Lui accettò e ancora oggi gli sono grato. Una volta non c’erano i telefoni cellulari e, arrivato a Londra, non
c’era nessuno ad aspettarmi. Avevo sentito un mio amico qualche giorno prima ma non sapevo come rintracciarlo per dirgli che ero arrivato. Allora passarono ore interminabili nel terminal, finché la polizia non si accorse di me e mi prese con sé per aiutarmi e accompagnarmi. Andò più o meno così.

E poi? Cos’è successo?
Prima di tutto iniziai a lavorare in un ristorante, poi però capì che non era la mia strada. Feci passare un po’ di tempo e arrivai qui a Nothing hill. Aprii il negozio con due soci ma entrambi abbandonarono la nave. Uno tornò a Napoli e l’altro aprì un ristorante. Non è stato facile dare una direzione diversa dagli altri negozi di souvenir. Qui gli oggetti sono prodotti artigianalmente, la mia parola d’ordine è “no made in China”. Voglio dare un valore aggiunto a chiunque entri nel negozio. Devono sentire aria di casa. Commissiono alcuni oggetti a un artigiano della Sicilia, molti altri
provengono dalla Campania e altri ancora sono prodotti e ideati da me. Gli oggetti a cui do vita sono della cultura inglese ma con manifattura italiana. Questo è il mio segreto.

Come si sente da tanti anni lontano da casa?
Ho dentro di me il sud, ma amo il mio lavoro. Mantengo vivo il mio animo napoletano con i clienti, quelli che lo permettono ovviamente. Credo che sentirsi a casa è ciò di cui tutti abbiamo bisogno. Magari in una giornata difficile, sentire una parola nella propria lingua può dare un grande conforto.

Cosa ne pensi del fatto che oggi i ragazzi partono per necessità senza idee in testa? Che consiglio daresti?
Questo è il problema più grande. I ragazzi partono per scappare. Io mi ricordo che non scappavo ma avevo bisogno di crearmi un futuro. Quello che mi sento di dire è di avere un’attitudine positiva. Tutto quello di cui hanno bisogno è fare un passo alla volta. Come si dice? Roma non è stata
costruita in giorno!

Con la sua solarità Giuseppe conquista tutti, ma sul serio. Neanche me ne rendo conto che ho passato con lui due ore a parlare e a viaggiare nel suo tempo. Ho avuto la fortuna di vedere dei pezzi unici e gli occhi di chi ce l’ha fatta. Chissà magari anche noi un giorno saremmo in grado di raccontare la nostra storia con questo fuoco negli occhi e le lacrime di commozione e non disperazione. Questa è una storia di chi è riuscito a dar forma al suo futuro, con niente in tasca ma con tanta “fame” dentro. Che forse è quella che a volte manca a noi giovani. Che è il motore di tutto. Si alza il vento, qui a Nothing Hill. La colonna sonora di Ronan Keating risuona nelle strade
di Portobello. Chissà quanti ragazzi del sud sono nascosti in un inglese da un accento non affatto perfetto. Cerco di riconoscere gli occhi, di provare a scovarli. Sono più di quanto noi possiamo immaginare, mi dico mentre vado verso la metropolitana. Chissà un giorno, gli inglesi, i tedeschi, i
francesi, verranno qui in Italia per far fortuna. Magari proprio al sud. Sarebbe il riscatto di generazioni andate via. Di radici abbandonate. Di speranza che ritorna. Come quando è quasi Natale e aggiungi un posto in più a tavola. È questo che chiedo, caro Babbo. Come sono sicura che lo
chiede anche Giuseppe insieme a milioni di persone: un posto sicuro, senza dover andar via lontano.

Già pubblicato su Quotidiano del Sud – L’Altravoce dei Ventenni 16/12/2019