La lotta antisessista, antifascista e antirazzista di Fem.In. Cosentine in lotta

Per fare chiarezza sui temi della parità e della sessualità e per sconfiggere gli stereotipi in cui spesso siamo immersi, ho intervistato Fem.In. Cosentine in lotta.
Le risposte che trovate di seguito dimostrano l’importanza di una lotta che intende radicarsi sul territorio e educare chi lo abita, fornendo spunti di riflessione e dibattito sempre nuovi che partono anche dalle generazioni più giovani. Al movimento va il mio ringraziamento e l’auspicio che l’azione sia di esempio e porti il cambiamento di cui la nostra società ha bisogno.

-Cos’è Fem.In. Cosentine in lotta e come nasce?
Fem.In. Cosentine in lotta è un gruppo di donne, uomini e persone non binarie, che si riunisce in assemblee e in momenti ricreativi settimanalmente. Ci piace l’idea di essere un collettivo politico e allo stesso tempo di coltivare rapporti di amicizia e solidarietà, fra di noi e nei confronti di chiunque voglia partecipare. Il progetto è nato sulla scorta delle azioni che abbiamo compiuto l’8 Marzo del 2018, quando Cosenza si è svegliata con l’acqua delle fontane di Via Arabia tinta di rosso, per rappresentare il sangue versato dai femminicidi, e con una Piazza Bilotti tappezzata di frasi scritte da più di 400 donne contro il sessismo.

-Quali sono gli scopi che si prefigge?
Abbiamo, potremmo dire, tre livelli di obiettivi: il primo è quello della sensibilizzazione sui temi della sessualità, della violenza istituzionale nei confronti dei generi, del patriarcato e degli stereotipi, che si insinuano subdolamente nelle nostre vite. Il secondo livello riguarda invece quello che nella pratica implementiamo per contrastare i fenomeni di discriminazione e di violenza, nella nostra quotidianità e nel territorio calabrese. Il terzo livello di obiettivi vuole affrontare la dimensione più generale e complessa della fase politica del paese, che inevitabilmente influisce sulle condizioni di disuguaglianza e ingiustizia sociale.

-“La lotta è una: antisessista, antifascista, antirazzista” è uno degli slogan che avete portato avanti al Pride di Reggio Calabria. Può essere riassuntivo del vostro movimento? Si può quindi parlare oggi di lotta?
Fem.In. è l’acronimo di Femministe Intersezionali. Teniamo molto a quest’ultima parola perché, nonostante possa apparire ostica, rappresenta un concetto semplice e vitale: la discriminazione e l’oppressione di genere, di razza, di classe e di molte altre categorie è frutto di un’unica matrice violenta, quella del sistema capitalistico. Crediamo fermamente che il femminismo non possa limitarsi a battersi per le donne, perché non sono le uniche ad essere vittime in questa società. La lotta, per come la intendiamo noi, è prima di tutto l’impegno quotidiano che serve per opporsi a leggi ingiuste, a comportamenti istituzionali e personali che offendono e aggrediscono una persona perché donna, povera, nera o/e disabile. Ci chiamiamo “Cosentine in lotta” perché ci siamo organizzat* per contrastare ciò che in questa società non ci piace e per provare a proporre un modo diverso di stare insieme e di vivere questa città.

-Revenge porn, violenza mediatica, violenza sessuale, malasanità: come risponde il movimento e cosa può fare ognuno di noi?
Le piaghe sociali sono tante e complesse, ben radicate nel territorio e anche in ognun* di noi, purtroppo. Le risposte devono essere calibrate in base alle peculiarità di ogni fenomeno, ma riconducibili ad un unica idea di libertà, rispetto e dignità. Crediamo che le risposte, oltre che sui social network, debbano essere soprattutto reali. Siamo riuscit* ad organizzare in questi mesi “Chiacchiere sulla sessualità”, diversi incontri aperti a tutt* dove abbiamo parlato apertamente di sesso, perché pensiamo che molte violenze si nascondano nei tabù sociali. Per quanto riguarda la malasanità, abbiamo presentato una petizione per la liberà di abortire come meglio preferiamo, anche in questo territorio, perché siamo stufe di viaggiare per curarci. C’è ancora molto da fare e speriamo di poter contare su ancora più persone per proseguire ostinatamente in tutte le lotte.

-Risale a pochi giorni fa la notizia di una ventiduenne indonesiana punita con cento frustate allo stadio, colpevole di aver fatto sesso prima del matrimonio. Qual è la situazione delle donne in Italia e nel mondo?
La cosiddetta emancipazione della donna è un processo che non si è mai interrotto, dal secolo scorso ad oggi. Non solamente in Italia, ma anche all’estero, da nord a sud. I grandi movimenti femministi, che negli ultimi anni hanno riempito le piazze dell’Argentina, della Spagna e anche dell’Italia, come Non Una Di Meno, sono in ascesa e fanno luce sempre di più su temi come l’aborto, la violenza sessuale e la società patriarcale e sessista, e rappresentano una forza propulsiva anche per i territori più periferici e conservatori. Il rischio, in questo caso, è che di questa emancipazione se ne faccia uno strumento politico ed economico, osannando per esempio le grandi manager donne, che sfruttano i/le dipendenti esattamente come i grandi manager uomini. Non è questa l’emancipazione di cui abbiamo bisogno.

-Quale la situazione delle donne in Calabria?
La Calabria, rispetto ad uno scenario nazionale molto positivo, rischia di essere, anche in questo caso, fanalino di coda. Pensiamo che la colpa dello scarto calabrese sia imputabile a diversi fattori, primo fra tutti: l’emigrazione della popolazione verso le regioni del Nord, che inevitabilmente sottrae molte risorse rispetto alle idee e alle abitudini culturali, che le nuove generazioni sono in grado di veicolare. Inoltre, la politica regionale e locale non aiutano. L’esempio più lampante è stata la discussione in Consiglio Regionale sull’introduzione della doppia preferenza di genere nella legge elettorale. A questo proposito alcuni consiglieri si sono sentiti liberi di dichiarare che “le donne in Calabria hanno bisogno di più mammografie, non di entrare in politica” e qualcun altro ha detto che “saranno costretti a far candidare le loro moglie e le loro figlie”. Oltre al fatto che la modifica della legge non è passata, il vero problema, secondo noi, è che da nessuna delle due parti, da quelli contro a quell* pro, è stata sentita la necessità di affrontare il tema in modo più ampio, domandandosi, per esempio, il motivo per il quale nel Consiglio ad oggi, siede una sola donna.

-Sessualità, consenso, contraccezione, masturbazione: come avvicinare le generazioni più giovani a questi temi e a nuove consapevolezze?
Il nostro è un collettivo relativamente giovane, nel quale partecipano anche persone non ancora ventenni. Questo fa sicuramente la differenza, specialmente quando si tratta di maneggiare i social network, come Facebook e Instagram. Allo stesso tempo, fin da subito abbiamo sentito l’urgenza di entrare nelle scuole superiori, riscoprendo, per esempio, lo strumento dell’Assemblea di Istituto come mezzo di autorganizzazione degli studenti e delle studentesse. Non crediamo alla retorica che vuole le nuove generazioni incapaci di appassionarsi a problematiche sociali e politiche, specialmente quando sono loro, per prime, ad essere investite dalla negligenza e dalla violenza delle istituzioni e della cultura predominante.

-In che modo devono cambiare il linguaggio e la comunicazione per andare di pari passo alla lotta stessa?
La lotta femminista, per quanto ci riguarda, oltre a dover scardinare il sessismo dilagante e tutte le altre forme di discriminazione e oppressione, deve riuscire ad allontanare da sé tutti i preconcetti che la società nutre nei confronti del femminismo stesso. Nel nostro collettivo possono partecipare anche gli uomini, alla pari delle donne, perché entrambi i sessi hanno bisogno di liberarsi dagli stereotipi con i quali sono cresciuti. Allo stesso modo, la lotta non può ancorarsi solo ed esclusivamente agli slogan femministi nazionali e internazionali. Per noi, di primaria importanza, è la dedizione nei confronti del territorio in cui viviamo. La comunicazione stessa, infatti, della nostra lotta, è quasi sempre relativa alle problematiche di questa città o di questa regione. Le proposte si rivolgono alle persone che vivono intorno a noi, nei contesti che attraversiamo quotidianamente, perché non vogliamo, nel modo più assoluto, costruire un’oasi isolata, non ci interessa ritirarci dalla società che non ci piace, vogliamo cambiarla.