“L’evoluzione inciampa”: ciao Darwin

Lo sapevate che esiste un volatile chiamato Sula dalle zampe blu, un uccello strano e dall’aspetto fiducioso, che incuriosì i primi viaggiatori che raggiunsero le Galapagos?
Quando Darwin le vide per la prima volta, le osservò con aria interessata e al contempo interrogativa. 
Perché?
Perché le Sule possiedono caratteristiche morfologiche che le aiutano a sopravvivere nel loro ambiente. Infatti, le loro zampe blu palmate fungono da veloci pinne che consentono loro di “proiettarsi” a grande velocità nell’acqua.. quasi come se volassero! Anche se questo le rende un po’ impacciate sulla terraferma. Hanno poi dei becchi “aerodinamici come siluri” che riducono l’attrito al contatto con l’acqua. Per riprendere quota, poi, le sule usano la loro coda ampia; per non soffocare sott’acqua, invece, le loro narici si chiudono, proprio per evitare che l’acqua entri nei polmoni. Hanno delle ghiandole sulla base della coda secernenti sostanze oleose che rendono il loro piumaggio impermeabile all’acqua.       


Insomma, la sula rappresenta il giusto compromesso tra necessità differenti; la sula è l’emblema in natura di come il corpo si adatti alle condizioni locali, climatiche, e alle contingenze. 
La sula, di fatti, trascorre la maggior parte del tempo in mare, dove è solita procacciare il cibo: tutti gli adattamenti nella sua struttura corporea hanno aumentato la sua percentuale di sopravvivenza nel tempo. 

E furono proprio le sule a stimolare la nascita della cosiddetta teoria dell’evoluzione, ovvero la capacità di un organismo di sopravvivere e riprodursi in un particolare ambiente. 

Il 24 novembre del 1859 Charles Darwin pubblicò il trattato scientifico “Sulle origini della specie mediante selezione”.     


Tale dissertazione rappresentava la sintesi di tutti gli studi che Darwin effettuò durante un viaggio intorno al mondo durato cinque lunghi anni a bordo del brigantino inglese Beagle e che accese la sua curiosità sui cambiamenti dell’uomo, degli animali e delle piante, in quanto gli consentì di effettuare rilievi di ogni tipo, fino ad illuminarlo e a dare vita alle teorie progressiste su cui abbiamo fondato la nostra storia evolutiva.           
Nonostante, infatti, egli crebbe nei primi decenni del diciassettesimo secolo e quindi nel clima anti-evoluzionistico del periodo vittoriano, Darwin aveva un convinto e tenace spirito critico che gli permise di andare oltre le barriere delle convinzioni di quel tempo. 

Egli cominciò a porsi delle domande: “Perché i fossili del Sudamerica sono più simili alle moderne specie sudamericane che a quelle degli altri continenti?”; iniziò poi presto a dubitare che la terra e le forme viventi fossero immutabili. 
Insomma, sapendo che le sue teorie rivoluzionarie avrebbero trovato ostacoli e avrebbero sconvolto l’intera comunità scientifica, rallentò la nunciazione della sua scoperta. 

Ebbene si, aveva ragione: Charles sconvolse chiunque ma, da quel momento in poi, la sua teoria divenne un caposaldo delle scienze naturali.

Darwin catturò la mia attenzione già alle scuole elementari, non ricordo precisamente se in quarta o quinta elementare, ma quando mia madre (perché solo lei per tutti i miei anni scolastici è stata capace di farmi entrare in testa le nozioni scientifiche – tranne il funzionamento del sistema nervoso, quello proprio non ho mai voluto capirlo) iniziò a parlarmi di “specie”, “selezione naturale” e “adattamento”, la mia mente immatura ma da sempre incline alla fantasia, plasmò questi concetti antipatici e apparentemente sterili al quotidiano di una bambina di 7/8 anni. 

Rimasi affascinata quando mamma mi disse “in buona sostanza, vige la legge del più forte. L’uomo è forte quando si abitua alle condizioni ambientali e fa di tutto per adattarsi e resistere. Questo diceva Darwin”. 

Ebbene, non era proprio questo che intendeva scientificamente il buon vecchio Charles, ma io ormai avevo accettato questa teoria e la interiorizzai per il resto dei miei studi e dei miei giorni.

Nei suoi scritti si legge che «la conservazione delle differenze e variazioni individuali favorevoli e la distruzione di quelle nocive sono state da me chiamate “selezione naturale” o “sopravvivenza del più adatto”. Le variazioni che non sono né utili né nocive non saranno influenzate dalla selezione naturale, e rimarranno allo stato di elementi fluttuanti, come si può osservare in certe specie polimorfe, o infine, si fisseranno, per cause dipendenti dalla natura dell’organismo e da quella delle condizioni».

Sarò folle forse, ma queste parole riescono a spiegare proprio quello che penso io dello scorrere del tempo e dei cambiamenti a cui, nel tempo appunto, siamo portati – nel bene e nel male. 
Cercherò di essere più chiara, perché mi rendo conto che sembro in preda ad una crisi mistica: Martina, l’opera di Darwin e la sindrome (non propriamente, ma lasciatemela passare) di Stendhal.  
   
Sono due i concetti cardine della teoria dell’evoluzione: la selezione naturale e l’adattamento.
O meglio, prima l’adattamento e poi come sua conseguenza diretta la selezione naturale. 
Occorre partire dall’assunto per cui ogni organismo si adatta all’ambiente in cui vive e, banalmente, solo chi riesce in questo sopravvive, altrimenti si estingue: boom, ecco spiegata la selezione naturale!       
Elemento più fondamentale è quella che lui definisce “la variabilità individuale all’interno di una popolazione”, ciò a dire l’insieme delle caratteristiche che distinguono un individuo da un altro.      

Passo indietro: la popolazione cresce esponenzialmente e le risorse naturali sono, al contrario, limitate. Queste, di conseguenza, modificano le condizioni ambientali e ciò rende più complicata la sopravvivenza. 

Ed è qui che si gioca la partita, la cui unica regola è la legge del più forte

Il più forte, per Darwin, è chi – detenendo delle caratteristiche prevalentemente ereditarie – si adatta meglio all’ambiente e ha maggiore possibilità di sopravvivere: ecco spiegato l’adattamento evolutivo con la sua estrinsecazione nella selezione naturale. 

Le caratteristiche più vantaggiose di sopravvivenza, secondo Darwin, saranno sempre rappresentate dalla generazione successiva perché queste tendono ad accumularsi nel corso delle generazioni. 

Perché? 

Per il progresso, per il miglioramento che in teoria si avrebbe nel processo evolutivo.
Evoluzione, dal latino evolvere, ovvero l’effetto dell’evolvere e dell’evolversi, più concretamente “lo svolgersi degli esseri umani da forme rudimentali a forme perfette”.
Bene! 
Terminata, con pessimi risultati, la lezione di biologia, torniamo a noi e agli effetti di Darwin nella vita di tutti i giorni seconda la Martina di otto anni.          

Ciò che porta le generazioni a migliorarsi e ad evolversi è la propria capacità di adattamento: adattarsi ai pericoli, alle difficoltà, ai cambiamenti di ogni tipo – pensavo.       
Solo chi ha capacità di adattamento ha la certezza di progredire.     
E spesso, per come la vedo io, la chiave di lettura per interpretare l’adattamento sorge dall’incontro di due elementi: la curiosità e la voglia di fare.           

Ho sempre visto ogni ostacolo sulla mia strada come una lotta, un momento di crescita: solo chi è più forte va avanti, ripetevo le parole di mia madre e – più o meno – quelle di Charles Darwin. 
Mi si diceva anche “chi si ferma è perduto”, “vai avanti, cerca la soluzione più adatta a te”.

Per questo, spesso e volentieri, ho paura di chi risulta abietto allo sforzo e si lascia frenare al primo inconveniente.           
Ho vissuto, e continuo a farlo, con la paura di estinguermi. 

Eppure, oggi, la nostra è diventata una generazione di “fermi” e chi sta fermo, ahimè, ontologicamente non può andar avanti; anzi, è costretto, in qualche modo, a “svanire”. 

Siamo una generazione di disinteressati, di arroganti, di stanchi.    
Siamo una generazione che si nutre di preconcetti, proprio noi che viviamo all’alba della tecnologia, dell’accesso facilitato ad ogni tipo di soluzione.             
Siamo degli efficienti deficienti (dal latino de-ficio, cessare d’esistere, esaurirsi). 
Perdonate il plurale maiestatis, ma se non suoniamo un campanello d’allarme, due sono le possibilità che ci rimangono: l’estinzione, anzi un’implosione generale, o – come mi auguro – un inevitabile cambio di rotta.         
Chi avrà più fiducia e sarà più sveglio, si adatterà alle nuove condizioni di vita; tutto cambierà e resteranno in pochi, i più forti. 

L’uomo – quello che si nutre di curiosità, si riempie di interrogativi e va con entusiasmo alla ricerca di nuove risposte – è pur sempre un animale abitudinario: si creeranno nuove condizioni di vita ma soltanto chi avrà il coraggio di sperimentare le novità evolutive si adatterà ai nuovi contesti sociali e naturali e andrà avanti. 

Chi si fermerà, invece, sarà perduto. 

Charles, ti ringrazio per aver dato voce ad un pensiero tanto contorto, ad una preoccupazione, e ad una voglia di continua rinascita personale e sociale. 

Rivolgo un invito a chiunque: impegniamoci a fare del nostro meglio per evolvere e non cadere nella abitudine, nella stasi degli animi, progettiamo continue fioriture per sopravvivere ad ogni intemperie.

Fisiche, astronomiche, biologiche, chimiche, atmosferiche, sociali. 
Di ogni natura.         

Perché solo migliorandoci troveremo le risposte. 

Facciamo come le sule: adattiamoci ai cambiamenti evolutivi affinché gli stessi non ci eliminino per sempre!