Perché Sanremo è Sanremo

Quando intorno alle 3 del mattino è calato il sipario sulla 70° edizione del Festivàl di Sanremo, lo ammetto, ho tirato un sospiro di sollievo misto a malinconia.
Quella del Festivàl è la mia settimana preferita: batte a mani basse la Fashion Week, la Design Week, il Book Pride e pure Natale. Da martedì a sabato non c’è affetto o impegno che tenga, solo schede di valutazione fatte alla meno peggio su Excel e discussioni infinite.

Sanremo è un po’ il pranzo di famiglia che tutti, nel profondo, finiamo col detestare perché si protrae per ore e porta a galla le nostre debolezze, le ferite aperte, le contraddizioni di una società pigra e indolente. È lo specchio di chi siamo, dei nostri pregi e difetti, di quelli dei nostri parenti, amici, vicini di casa, contatti sui social network. Su quel palco si alternano generazioni di artisti, intrattenitori, professionisti più o meno apprezzati che assolvono al loro compito principale: farci dimenticare, per qualche sera, qualunque problema di natura personale e sociale.
E il carrozzone guidato da Amedeo Amadeus Umberto Rita Sebastiani, affiancato da Rosario Ciuri Tindaro Fiorello e Tiziano Ferro, ha portato a casa picchi di share che non si vedevano dagli anni d’oro di Pippo Baudo (a proposito, come avrà preso il mancato invito alla kermesse? Possibile che non ci fossero 5 minuti per un suo saluto?).
La 70° edizione è stata ripetutamente presentata come imprevedibile e al femminile, ma ha mantenuto questa promessa solo in parte. Andiamo con ordine.

Già all’annuncio dei nomi dei Big in gara appariva palese una presenza femminile risicata: solo 7 artiste su 24. Pochissime settimane dopo scoppiava la polemica sulla presunta e poi confermata partecipazione di Rula Jebreal al Festivàl e veniva annunciata la scelta di Amadeus di farsi accompagnare nella conduzione da dieci co-conduttrici.  «Perché fermarmi a una, quando posso averne 10» affermava Amadeus, presentando la già citata Rula Jebreal, Diletta Leotta, Emma D’Aquino, Laura Chimenti, Sabrina Salerno, Georgina Rodriguez, Alketa Vejsiu, Antonella Clerici, Mara Venier e Francesca Sofia Novello. Tutte belle, bellissime – sia mai che le donne possano anche essere professioniste affermate – e necessarie a tener testa a un solo conduttore.
Novello, nello specifico, era stata scelta a detta dello stesso conduttore perché capace di rimanere un passo indietro a un grande uomo (il compagno Valentino Rossi, ndr).  
Queste scelte e affermazioni sono specchio dell’Italia del 2020? Sì e no. Perché, piaccia oppure no ad autori, conduttori e vertici Rai e – immagino – a una larga fetta di spettatori del Festivàl, il bel Paese è attraversato da venti di cambiamento culturale fatto da uomini e donne che si battono per l’equità, la difesa delle minoranze, l’integrazione, la parità salariale, l’indipendenza, che si discostano dalla narrazione incentrata sulla fragilità delle donne e delle minoranze viste semplicemente come vittime e lottano ogni giorno per maggiori diritti.

Ma sto divagando.

Se c’è una promessa che è stata mantenuta è quella sull’imprevedibilità del Festivàl: scalette spesso stravolte, uno storico abbandono della gara, orari impossibili da tollerare persino per chi soffre di insonnia.
Al netto delle critiche, possiamo affermare che la musica è tornata a farla da padrona.
Gli artisti in gara e le canzoni rispecchiano un panorama musicale in evoluzione, legato alla tradizione ma aperto alle contaminazioni, vario, fresco, capace di coinvolgere fasce d’età distanti tra di loro. Abbiamo imparato a conoscere volti nuovi, apprezzato graditi ritorni sul palco dell’Ariston e cantato a squarciagola testi appresi in poco tempo ma destinati ad accompagnarci per i mesi a venire.

Cosa rimarrà della 70° edizione di Sanremo?
Tra vecchie glorie e nuove proposte, alla polvere del tempo e al polverone delle polemiche sopravvivranno solo alcuni.
Eugenio in via di Gioia: ho sbagliato il nome della band fino a venerdì sera e dopo un’iniziale perplessità non ho potuto fare a meno di canticchiare Tsunami ridendo.
Leo Gassman: vincitore annunciato della categoria Giovani Proposte, canta Vai bene così a sé stesso e a chiunque stia faticosamente facendo pace con il proprio riflesso allo specchio.
Pinguini Tattici Nucleari: scanzonati e divertenti, portano a Sanremo la normalità e la gioia che in fondo può dare non essere sempre il primo della classe. La rivincita dei Ringo Starr che arrivano terzi e ci fanno ballare senza pensieri.
Levante: la cantautrice siciliana rivendica l’unicità in risposta al branco che ci vorrebbe tutti uguali. Di ascolto in ascolto, Tikibombom diventa manifesto delle anime in rivolta.
Elodie: definita la Beyoncé italiana, travolge come una moderna Andromeda per eleganza e potenza.
Rancore: miglior testo vincitore – a ragion veduta – del premio Sergio Bardotti. Eden è una perla ai porci.
Tosca: raffinata come pochi, dotata di una voce potentissima che prende per mano e ammalia, vincitrice del premio Giancarlo Bigazzi assegnato dall’orchestra.
Elettra Lamborghini: il suo nome dà il via alla performance in cui twerka. E i boomer zitti.
Achille Lauro: performer unico nel suo genere, porta in scena il manifesto Me ne frego che rovescia qualunque possibile riferimento mussoliniano e diventa, di esibizione in esibizione, pura iconografia. L’icona che non meritiamo, ma che seguiamo con cuore palpitante e occhi pieni di meraviglia certi che continuerà a sorprendere e ispirare.
Diodato: il cantautore tarantino aveva già rapito alcuni cuori (tra cui il mio) con Babilonia nel lontano 2014. Di strada ne ha fatta parecchia e ha portato sul palco dell’Ariston un brano pieno di amore, malinconia, struggente quanto basta per commuoversi e aver voglia di cantarla a squarciagola in macchina o sotto la doccia e canticchiarla mentre la macchinetta del caffè borbotta. Una vittoria annunciata e meritata per un cantautore timido e potente al tempo stesso. L’appuntamento è per l’Eurovision Song Contest, durante il quale avrà l’arduo compito di dare battaglia ai vicini di San Marino, e al prossimo Festivàl.

P.S.: Ama, io non so stare un passo indietro e nemmeno un passo avanti, ma se vuoi posso stare accanto.