Violenza di genere, unite per dire basta

Ricorre oggi la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne istituita, come dichiarato dal Segretariato ONU, «partendo dall’assunto che la violenza contro le donne sia una violazione dei diritti umani. Tale violazione è una conseguenza della discriminazione contro le donne, dal punto di vita legale e pratico, e delle persistenti disuguaglianze tra uomo e donna».
Questa Giornata, nata con la risoluzione n°54/134 del 17 dicembre 1999, rientra nel cosiddetto programma dei Sedici giorni di attivismo contro la violenza basata sul genere, una campagna internazionale coordinata
dal Centro per la leadership globale delle donne e utilizzata dagli attivisti come strategia organizzativa per chiedere l’eliminazione di tutte le forme di violenza di genere.
La campagna principale dei Sedici giorni si svolge tra il 25 novembre e il 10 dicembre ed è gestita da oltre 6.000 organizzazioni in 187 paesi. La comunità dei Sedici giorni organizza eventi durante l’arco di tutto
l’anno e per il 2019 ha focalizzato l’attenzione su una specifica richiesta: #RatifyILO190. Attraverso movimenti e azioni collettive, la campagna globale dei Sedici giorni intende mobilitare le donne di tutto il mondo per promuovere la ratifica e l’attuazione degli strumenti ILO noti come C190 e R206, rispettivamente la Convenzione sulla violenza e le molestie e la Raccomandazione sulle molestie. Influenzare positivamente un’ondata di ratifiche di C190 e R206 rappresenterebbe infatti un primo, importantissimo passo verso l’implementazione degli standard in esse contenute a livello nazionale e internazionale.

Sebbene questa giornata sia stata istituita da soli vent’anni, la data non è stata scelta a caso ed è emblematica: il 25 novembre del 1960 furono infatti uccise le tre sorelle Mirabal, attiviste politiche della Repubblica Dominicana. Una data importante quindi, che deve ricordare a tutti che non possiamo rimanere inermi di fronte al crescente numero di donne che subiscono violenza.
In Italia e nel mondo subisce violenza mediamente una donna su tre dai quindici anni in su. In tutta l’Unione Europea il 53% delle donne afferma di evitare determinate situazioni o luoghi per paura di subire un’aggressione.
La violenza sulle donne ha mille volti basati sulla discriminazione di genere, che vanno dalla violenza fisica a quella sessuale, passando per la violenza psicologica, il mobbing, gli atti persecutori, lo stalking, la tratta e
riduzione in schiavitù, la prostituzione e la pornografia minorile, il turismo sessuale, il femminicidio.
Gli atti di violenza possono accadere ovunque: tra le mura di casa, per strada, sui mezzi pubblici, sul posto di lavoro. A commettere gli atti più atroci sono spesso partner o ex partner, che in Italia sono responsabili del
62,7% degli stupri e del 38% dei femminicidi.
Dal 9 agosto 2019 vige in Italia la legge denominata Codice rosso, recante Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di
genere. Questa ha permesso l’introduzione di quattro nuovi reati: il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate (c.d. revenge porn); il reato di
deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso; il reato di costrizione o induzione al matrimonio; la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto
di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Il Codice rosso consente anche uno “sprint” per l’avvio del procedimento penale di reati come lo stalking, la violenza sessuale e i maltrattamenti in famiglia.
Più stringenti anche le misure cautelari e di prevenzione, le sanzioni, i termini e le aggravanti.

La battaglia non deve però rimanere circoscritta a questa data né alle aule di tribunale: è necessario un radicale cambiamento culturale di prevenzione della violenza e di ascolto, che passi dall’educazione al
rispetto della persona e dei diritti delle donne e dal contrasto degli stereotipi di genere che sono alla base di una visione errata di donne e uomini nella società.
La lotta contro la violenza patriarcale, razzista, istituzionale, economica e ambientale infiamma le piazze di tutto il mondo: donne e persone LGBTQIPA+ stanno richiedendo a gran voce un processo di
democratizzazione e liberazione trasversale. È per questo che il movimento Non Una Di Meno ha organizzato numerose manifestazioni nelle settimane e nei giorni immediatamente precedenti al 25 novembre: al grido di «Contro la vostra violenza saremo rivolta» l’onda rosa ha deciso di affermare rivendicazioni chiare e non negoziabili e di dire basta.
Basta alla disparità salariale, al mobbing, alla violenza domestica, psicologica e sessuale che investe donne e persone non conformi al modello patriarcale, alla giustizia patriarcale della Pas (sindrome da alienazione
parentale), agli attacchi ai centri antiviolenza femministi, allo sfruttamento, al rischio di licenziamento o di mancato rinnovo del contratto e dei documenti di soggiorno, al monopolio degli obiettori, alle violenze
psicologiche in sala parto e sul posto di lavoro al rientro dalla maternità, ai titoloni dei giornali in cui il femminicida diventa un “Gigante buono”, alle uccisioni di persone trans, alla violenza sui sex workers, alla guerra insensata contro le persone migranti.

L’onda colorata e chiassosa ha chiesto a gran voce atti concreti e maggiori diritti per tutte le persone, maggiori tutele, accesso al welfare, fondi per gli spazi di aggregazione e autodeterminazione, il riconoscimento delle donne come soggetto attivo, interventi efficaci di prevenzione della violenza, diffusione di una cultura rispettosa che coinvolga tutte le fasce d’età, misure che portino all’indipendenza economica come condizione fondamentale per affrancarsi dalla violenza ed essere persone libere di scegliere.

Finché non arriveranno risposte concrete, saremo tutte e tutti in rivolta.

Articolo già pubblicato sul Quotidiano del Sud – l’Altravoce dei Ventenni di lunedì 25/11/2019